Perfino i gesuiti se ne sono accorti prima della categoria. Bisogna riformare – rottamare – al più presto l’Ordine dei giornalisti, strumento di autoconservazione della casta, obsoleto nell’organizzazione ed assolutamente avulso rispetto al contesto della professione. A metterlo nero su bianco, con parole più garbate, è padre Francesco Occhetta che – sul Quaderno N°3918 del 19 settembre di Civiltà Cattolica – scrive un interessante pezzo sui 50 anni dell’Odg (QUI E’ POSSIBILE SCARICARE GRATUITAMENTE L’INTERO QUADERNO IN .PDF).
Occhetta prima mette velocemente a confronto la situazione italiana con quella di altri Paesi europei. Poi racconta la storia dell’Ordine e quindi entra nel vivo della questione.
“A meta’ degli anni ’70 – si legge nell’articolo – nasce un pubblicismo diverso da quello pensato dalla legge: costituito da giornalisti che svolgono la professione in modo esclusivo, ma non vengono remunerati come i professionisti”. Secondo Occhetta sorge “un problema legato al principio di giustizia. Sono gli anni dei privilegi per i professionisti che fanno perdere all’interno dell’Ordine il senso della solidarietà e producono vere e proprie classi diverse”. Poi, negli anni ’90 la situazione precipita: “Oltre il 70 per cento dei neo-giornalisti professionisti arriva da un praticantato d’ufficio”, mentre il “praticantato tradizionale (art. 35) giunge al suo capolinea”. Così, spiega Civiltà Cattolica, ”le aziende editoriali scelgono di favorire la precarizzazione e di estendere l’area di contratti atipici. La scelta di sfruttare la manovalanza giornalistica si rivela economicamente vantaggiosa, ma editorialmente, professionalmente e moralmente discutibile”. Parole sante, mi verrebbe da dire.
Ancora, il sacerdote chiede di rendere le scuole di giornalismo “corsia privilegiata per accedere all’esame” (d’accordo con lui anche su questo, purché non sia l’unica come vorrebbe qualcuno) e di fatto invoca la rottamazione di buona parte dell’attuale classe dirigente perché – scrive – “il cambio di paradigma richiede ai giornalisti che non esercitano, pensionati compresi, di lasciare l’Ordine, oppure di diventare emeriti e di non incidere nel governo”.
“La tessera”, conclude Civiltà Cattolica, “non è uno status, deve essere semplicemente il mezzo che rende pubblica l’attività di guardiano della democrazia. Ci auguriamo che il compimento della riforma avviata nel 2012 si basi su due punti qualificanti: a) subordinare l’iscrizione all’albo all’effettivo esercizio della professione b) creare un albo speciale degli emeriti senza diritto di voto. Insomma, a nostro parere, solamente liberalizzando l’accesso (soprattutto per i giovani) e operano le necessarie potature dell’attuale sistema, l’Ordine potrà arrestare la lenta implosione che anticip qualsiasi tipo di scioglimento formale”. Non aggiungo altro.