Twitter non vuole i miei soldi. Sono mesi ormai che sto cercando di acquistare pubblicità sul social dell’uccellino. Inutilmente. Quali siano (sarebbero) le opportunità è ben spiegato da questo sito, ma ogni volta – dopo esser passato di qua e aver compilato tutti i campi del form – la procedura si conclude con una schermata desolante di cui vi mostro qui sotto lo screenshot:
Superfluo dire che da quelli di Twitter non ho mai ricevuto né telefonate, né mail. Forse non hanno pagato la bolletta. Ma dei miei soldi – sono certo – non hanno bisogno.
Come noto, infatti, il social di Jack Dorsey ha recentemente annunciato con un tweetl’intenzione di quotarsi in Borsa. E – con i suoi oltre 500 milioni di utenti registrati – ha un valore potenziale di oltre 10 miliardi di euro. Cifra tutt’altro che irraggiungibile visti i 38 miliardi di valore sulla base di cui è stato quotato Facebook (oggi, con il titolo volato sopra i 45 dollari, si è saliti oltre quota 100 miliardi).
In tutto ciò, però, resta a capire se il valore attribuito all’azienda sia compatibile con ciò che “produce” (il fatturato il prossimo anno potrebbe raggiungere il miliardo di euro). Ma soprattutto se il progetto sia sostenibile nel medio/lungo periodo.
Twitter non è un passerotto. E’ uno pterodattilo nato per condividere messaggi tramite sms, in un’epoca in cui gli smartphone non esistevano quasi e nessuno possedeva connessioni internet sui cellulari: al big bang è sopravvissuto, ma la concorrenza si sta facendo sempre più agguerrita. Tanto più alla luce del fatto che Facebook ha già copiato dal suo rivale scolorito (è una considerazione cromatica, non di valore) gli hashtag e le tendenze.
Sopravviverà Twitter all’ennessima rivoluzione del web, in cui cinque anni valgono un’intera era geologica? Non lo so. Ma i fondatori ed eredi camperanno di rendita per le prossime dieci generazioni. Non con i miei soldi, almeno per ora.