Non dite su Facebook ciò che non urlereste nella piazza del vostro Comune

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Facebook è uno strumento molto utile per socializzare, lavorare e fare business. Uno strumento indispensabile per chi non intende fare vita da mormone, distaccandosi da tutte le diavolerie del mondo moderno. In Italia, non a caso, lo utilizzano circa 23milioni di utenti, che si collegano mediamente una volta ogni due giorni.

Fatta la doverosa premessa, però, vorrei soffermarmi brevemente sui rischi che possono derivare da un uso incauto e inconsapevole di questo potentissimo strumento. Quasi tutti legati a un errore di fondo: dimenticare che Facebook è uno strumento pubblico. Poco importa che abbiate settato le impostazioni della privacy sul livello più alto (e potrebbe essere comunque una buona idea), qualunque cosa pubblicate su Facebook – ne dovete essere consapevoli – è fondamentalmente pubblica e le vostre informazioni personali possono circolare indipendentemente dalla vostra volontà. Se non altro per il fatto che nel momento in cui avete più di “tre amici” qualsiasi “segreto” non è già più tale. Un po’ come nella vita reale.

Ma facciamo degli esempi. Come ho scritto in questo post, qualsiasi cosa che avete pubblicato (tanto più se avete settato gli aggiornamenti su pubblici e avete giornalisti tra gli amici) è a disposizione dei media che, invocando il diritto di cronaca, possono pubblicarla anche senza chiedervi il consenso. Inoltre esistono diversi esempi di dipendenti licenziati e studenti sospesi da scuola (qui un esempio) per aver scritto sulla propria bacheca cose sbagliate su capi e professori.  Oppure semplicemente per aver utilizzato Facebook in orario di lavoro. Senza dimenticare i matrimoni finiti per colpa della rete. Inoltre sono ormai numerosi casi di diffamazione via Facebook (oltretutto la giurisprudenza non è univoca, tanto che, a seconda del giudice, si potrebbe anche incorrere nell’aggravante della diffamazione a mezzo stampa) che si concludono con pesanti condanne economiche. E non sbaglio ad aggiungere che, quando vi presentate a un colloquio di lavoro, chi c’è dall’altra parte cede spese alla tentazione di controllare il vostro profilo personale per avere qualche informazione in più su di voi (assumereste come contabile uno che su Facebook scrive di essere appassionato di videopoker e scommesse?).

Ma il problema si nasconde spesso dietro comportamenti più innocui. Esistono infatti casi di persone condannate per aver pubblicato sulla propria bacheca fotografie di amici (o ex amici) in comportamenti equivoci senza il loro consenso esplicito. E qualche furbone è finito nei guai – seri – per aver fotografato e pubblicato su Facebook la scheda elettorale. Ma anche utilizzare un’immagine qualsiasi presa da Google potrebbe (potenzialmente) provocarvi qualche guaio con colui che ne detiene i diritti. Ancora, non è fenomeno raro quello dei furti in casa legati all’abitudine degli utenti di segnalare con post o con strumenti di geolocalizzazione legati alla propria assenza dall’abitazione.

Allo stesso modo è abbastanza frequente il “furto” di immagini personali (solitamente utilizzate da buontemponi nei propri profili o in profili fake) e di identità. Ma per fortuna anche i malviventi fanno spesso parte della categoria dei cattivi utilizzatori. Le forze dell’ordine, ovviamente, utilizzano spesso i social media per le loro indagini, ottenendo fotografie, scoprendo la rete di amicizie di un sospetto, verificando eventuali alibi, oppure – nel caso della Finanza – acquisendo conferme sul tenore di vita di un evasore totale.

Per tirare le somme concedetemi una battuta: non dite su Facebook ciò che non urlereste nella piazza del vostro Comune.

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