“A oggi non è dimostrato da nessuna parte che l’impatto sempre più pervasivo degli strumenti elettronici sui ragazzi non sia nocivo per la salute, senza contare che la memorizzazione e la comprensione sono meno sollecitati dai supporti elettronici”. Così affermano in una nota congiunta – senza vergogna – l’Associazione italiana editori (Aie), la Federazione della Filiera della Carta e della Grafica, l’Associazione librai italiani (Ali) e l’Associazione nazionale agenti rappresentanti e promotori editoriali (Anarpe).
E le altre motivazioni addotte per attaccare il decreto Profumo – quello che dispone ai Collegi dei docenti di adottare, dall’anno scolastico 2014/2015, solo libri nella versione digitale o mista – non sono da meno. Nel comunicato si afferma anche che il decreto riversa “sulle imprese e sulle famiglie l’onere per l’innovazione scolastica, prevedendo addirittura che queste ultime versino alle scuole quanto eventualmente risparmiato o lo destinino per l’acquisto di tablet o pc”. Il tutto senza assicurare “alcun vantaggio in termini di risultati didattici attesi e, soprattutto, di tutela dei bilanci familiari”.
Già. Dunque il presupposto del ragionamento è che gli editori faranno cartello e che i prezzi dei libri di testo non caleranno in maniera significativa nonostante la sparizione della carta riduca drasticamente i costi di produzione? E la famiglia di uno studente non trarrà davvero alcun vantaggio economico dallo scaricare gratuitamente – e legalmente dal web – i grandi classici della letteratura i cui diritti d’autore sono scaduti da tempo? E che dire dell’ipotesi (insinuazione) iniziale sulla nocività per la salute dei supporti elettronici: gli editori stanno forse proponendo di vietare l’utilizzo di tablet e computer a tutti i ragazzi in età scolare perché fanno male? Oppure stanno direttamente proponendo di vietare il futuro, almeno quando questo contrasta con un business secolarizzato? Ai miei 25 lettori la risposta.