Il titolare di un blog – esattamente come il direttore di un quotidiano on line – è responsabile di tutti i contenuti che pubblica. E anche di quelli inseriti autonomamente dai lettori. A stabilirlo è stato il tribunale di Varese, che ha condannato una 21enne per i commenti comparsi sul suo sito (con espressioni tipo: “signori della truffa”, “cosca mafiosa” e “cloaca editoriale”) contro una casa editrice che pubblica opere a pagamento. La giovane – a cui è stata contestata la diffamazione non aggravata dal mezzo della stampa e non, a differenza di quanto chiesto dal Pm, la diffamazione a mezzo stampa – dovrà pagare 1.500 euro di ammenda e 5.000 euro di risarcimento alla parte offesa. Mentre l’anonimo autore dei commenti non è nemmeno stato identificato.
“La disponibilità dell’amministrazione del sito internet – scrive il Gip nel motivare la condanna – rende l’imputata responsabile di tutti i contenuti, sia quelli inseriti da lei stessa, sia quelli degli utenti; è indifferente sotto questo profilo sia l’esistenza di una forma di filtro (poiché in tal caso i contenuti lesivi dell’altrui onorabilità devono ritenersi specificamente approvati dal dominus), sia l’inesistenza di filtri (poiché in tal caso i contenuti lesivi dell’altrui onorabilità devono ritenersi genericamente e incondizionatamente approvati dal dominus)”.
“Non è certamente idonea a escludere la responsabilità penale dell’imputata – continua il Gip – la clausola di attribuzione esclusiva di responsabilità agli autori dei commenti contenuta in un “regolamento” di natura esclusivamente privata per l’utilizzazione del sito (gli autori, semmai concorrono nel reato, ma di essi in questo processo non vi è traccia di identificazione, né sono imputati)”.
Con una chiosa un po’ inquietante. “Le conseguenze sanzionatorie dei reati (…) possono essere contenute, in ragione della giovane età dell’imputata e di una sua possibile sottovalutazione delle condotte illecite, frutto di una diseducazione di cui essa stessa è vittima, in un contesto sociale di falsamente proclamata liceità di qualsiasi lesione dell’altrui personalità morale, tantopiù se veicolata dai mezzi di comunicazione, scegliendo la pena pecuniaria e applicando a suo favore le circostanze attenuanti generiche, da ritenersi equivalenti alle sussistenti aggravanti”.