Nella vita poche cose sono per sempre. I diamanti. E la cancellazione da Google Adsense. Per chi non lo conoscesse Adsense è uno strumento che permette a tanti piccoli webmaster e gestori di blog di guadagnare qualche soldo attraverso la pubblicazione di annunci sui propri siti. La cosiddetta revenue sharing, la percentuale di guadagno – secondo i dati rivelati nel 2010 dopo le ripetute sollecitazioni dell’Antitrust – va dal 51 al 68 per cento di quanto speso dagli inserzionisti. Tutto bene. Tutto fantastico. E non è certo un caso che Google sia arrivata oltre il 40 per cento del mercato della pubblicità on line in Italia. Però…
Però le politiche con cui quelli di Mountain view gestiscono i loro utenti Adsense sono quanto meno discutibili. Perché, secondo il regolamento del servizio, a fronte di reiterate violazioni – che possono coincidere con una sola violazione a cui non si è posto rimedio per tempo – il sistema provvede alla cancellazione dell’account. Per sempre. “Ovviamente” quelli di Adsense si trattengono anche tutto quanto maturato fino a quel momento, una linea che può essere sensata se l’accusa è quella di aver indotto click, meno per altri casi. Ma non è questo il nodo.
Il nodo è che a fronte della cancellazione non esistono altre vie che il ricorso attraverso un form decisamente poco versatile. E che alla fine di un lungo percorso il punto d’arrivo è sempre questo:
La ringraziamo per la sua richiesta. Tuttavia, le segnaliamo che abbiamo riscontrato nel suo account una violazione del nostro regolamento del programma e lo abbiamo disattivato. Pertanto, non ha più i requisiti per partecipare al programma AdSense. Apprezziamo la comprensione che vorrà dimostrarci.
Così ho avuto modo di verificare di persona. Fino al 2011 gestivo alcuni siti e blog sparsi per la rete, ma avevo commesso due errori: iquello di chiedere un click ai lettori (ovviamente vietato dal regolamento di Adsense) e quello di non considerare che i motori di ricerca hanno mille doti ma non il sense of humor (e quindi possono identificare come contenuti per adulti anche siti palesemente a scopo satirico). Account bloccato e soldi persi, “giustamente”.
Poco importa. Ma ieri, dopo due anni, mi è venuta la balzana idea di riattivare Adsense per questo sito, e – dopo aver compilato il form assicurando che sarei stato più attento alle regole – mi è arrivata nell’arco di pochi secondi la risposta di cui sopra. Insomma: chi sbaglia su Adsense è condannato a vita. Perché non è possibile nemmeno registrare un secondo account (se Google riconosce dati di fatturazione, ip o mail cancella immediatamente).
Di fronte a questa situazioni esistono due tipi di reazioni. La prima è riderci un po’ sopra. La seconda, da giornalista, è farci una riflessione seria di carattere generale. Un servizio privato, ovviamente, può gestire i propri clienti come meglio crede. Ma quando opera in regime di semi-monopolio è cosa un po’ diversa.
Google Inc. gestisce il principale motore di ricerca mondiale (da lì passa il 99 per cento delle ricerche italiane…), possiede uno dei principali servizi di posta (Gmail), ha acquisito la principale piattaforma mondiale di video (YouTube, dove per guadagnare vi chiedono di essere collegati ad Adsense) e molto altro. Insomma: il web, se si esclude Facebook, è quasi tutto loro. Ed è assurdo che chi lavora sul web o con il web non possa più avere accesso ad Adsense per una “cazzata” commessa magari quando frequentava l’ultimo anno di liceo.
Che ne pensa di tutto questo l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato? Se ne avrò occasione chiederò direttamente a loro.